QUALE FUTURO PER FERRI LANA E COTONE?

QUALE FUTURO PER FERRI LANA E COTONE?

Un comparto che ha cambiato pelle, sotto la spinta dei mutamenti sociali e della globalizzazione del commercio, e che ha perso molto terreno nelle scelte dei nostri connazionali. Ferri e lavoro a maglia sopraffatti dalla tecnologia, da un diverso modo di spendere il tempo libero e che si trovano di fronte a un bivio: riacquistare, seppur in minima parte rispetto al passato, un posto nella vita di molti italiani, oppure ridursi in una nicchia di piccole dimensioni, popolata solo da addetti ai lavori. L'aguglieria, ossia il comparto che racchiude filati per il lavoro a maglia, per l'uncinetto e il ricamo, ha progressivamente perduto quella sua caratteristica di "sapienza antica", di possibilità di prodursi, in modo autonomo e risparmiando, vestiti e accessori di prima qualità e con un grande grado di personalizzazione. Oggi l'aguglieria si è ridotta ad attività hobbistica, a passatempo femminile, compresso tra palestre e centri benessere, in un vortice frenetico che ha inghiottito i tempi lunghi e i ritmi più blandi di ferri e filati. Oltretutto, a differenza di altre tecniche hobbistiche, per le quali è necessaria una certa manualità, ma che sono alla portata di una platea più ampia, ossia di tutti quanti sappiano usare facili strumenti reperibili nella vita di tutti i giorni, carta, colla, forbici, pennello, lavorare la maglia, l'uncinetto o ricamare sono arti che necessitano di una maggiore sapienza, di un'introduzione a questo mondo che spesso veniva data, nelle famiglie tradizionali, dalle nonne, poi soppiantate o affiancate dalla scuola, infine completamente abbandonate nel baule dei ricordi. Una mancanza dei primi rudimenti di questi lavori femminili che colpisce un paio di generazioni di donne italiane (casualmente in concomitanza con il loro maggiore impiego fuori casa) e che costituisce una barriera all'ingresso molto alta a questo mondo. Non più necessità, ma hobby. E non appetibile come le altre tecniche hobbistiche che danno risultati più immediati, ma frutto di un'applicazione più duratura e di un approfondimento non sempre possibile, visti i tempi rapidi con cui ci muoviamo di questi tempi.

L'aguglieria è quindi destinata a scomparire? Una storia secolare, un tessuto produttivo radicato, una tradizione che ha fatto fiorire scuole, correnti regionali, consuetudini scandite dalle ricorrenze (nascite, matrimoni) sono destinati all'oblio? La partita è ancora aperta, l'obiettivo è riconquistare un pubblico di appassionati più ampio, di svecchiare i clienti avvicinando i più giovani a questo mondo, di riacquistare appeal.

È sicuramente difficile, molto oneroso, un cammino da compiersi in un tempo più lungo. Tuttavia è l'unica strada possibile. Gli strumenti sono ben noti e sono sotto gli occhi di tutti: con una maggiore unità d'intenti, con la possibilità offerte dai nuovi media di avvicinare i giovani, con una maggiore specializzazione si può cercare di risalire la china.

E se non si ritroveranno i fasti di qualche tempo fa, almeno si sarà seminato correttamente per far nascere una generazione più consapevole, più aperta, più conscia. E non è assolutamente detto che dopo un estenuante bagno nella tecnologia e nei ritmi di vita più veloci, anche i giovani d'oggi possano riscoprire il piacere della lentezza, il relax dello sferruzzare, l'appagamento di un qualcosa fatto da sé, che suscita l'ammirazione altrui.

Da necessità a passatempo

"Dal 1980 a oggi - spiega Roberto Barbavara (nella foto a destra), di Filatura di Crosa - il mercato dell'aguglieria ha cambiato struttura e sostanza, passando dall'acquisto del gomitolo per risparmiare, riuscendo a ad avere un capo finito spendendo solo per l'acquisto del materiale, a oggi, periodo in cui questo concetto si è ribaltato, con l'avvento di capi di vestiario a prezzi irrisori provenienti dal Far East o dai mercati low cost come i Paesi dell'Est o la Turchia: oggi un maglione di "lana" finito costa al pubblico 30 euro, mentre per comprare la lana necessaria si spendono circa 50. Oggi ci si avvicina al lavoro a maglia per l'autogratificazione, non certo per il risparmio come accadeva una volta". "Fino a 10 anni fa - conferma Beppe Pellitteri, di Vimar 1991 - il lavoro a maglia permetteva di risparmiare, oggi questa componente che attraeva molte persone verso l'aguglieria è venuta meno, rimane solo l'intrattenimento, l'hobbistica.

Un fenomeno che ha portato a un vero e proprio tracollo nelle vendite: negli anni '80 in Italia si vendevano 15 milioni di chili di lana, nel 2007 le vendite si sono arrestate a quota 1 milione di chilogrammi". Una crisi che ha comunque diversi risvolti, secondo l'analisi di Luca Sapellani, responsabile area aguglieria di Filatura Tessitura di Tollegno: "C'è una differenza - aggiunge - tra l'Italia e i mercati stranieri che sta tutta in | una diversa mentalità: qui da noi la |J cultura del fai da te non è molto sviluppata.
In Italia, per quanto riguarda la moda, vanno forte i capi firmati, le griffe, i vestiti pronti, un settore, quello della moda, che tende ad omologare un po' tutti. Non così all'estero: in alcuni Paesi c'è più voglia di esprimersi in modo più personale, anche attraverso i vestiti.

Inoltre i cambiamenti sociali hanno modificato molto il mercato, spaccando a metà il nostro Paese: al Sud è rimasta la tradizione dei lavori manuali femminili, al Nord le donne lavorano e il tempo da loro dedicato a tutto il resto si è contratto enormemente".

Over 45 o giovanissime

Una platea di appassionate di età avanzata, "nonne" che sferruzzano per i pochi nipotini, vista la denatalità che sta colpendo la società italiana in questi decenni. Oppure giovani che si cimentano con i loro primi passi nel mondo dell'aguglieria, ma che scelgono più gli accessori (cappelli, sciarpe, borsette) che capi più impegnativi. Con queste premesse è difficile che le vendite possano risalire nel breve periodo. Tuttavia, alcuni segnali prevedono un 2008 in crescita rispetto allo scorso anno. E se la società globale da un lato deprime le prospettive locali, dall'altro ne apre di nuove e differenti: "è cambiato lo scopo del tricottare - dichiarano da Coats Cucirini - non più un contributo domestico, ma una passione e la soddisfazione di realizzare qualcosa con le proprie mani e per sé. Occorre sottolineare che anche in Italia comincia a sentirsi la presenza di cittadini provenienti da nazioni con forte tradizione di tecniche manuali che si rivolgono per lo più a filati di basso costo. Oggi il consumatore tipo di questi prodotti spazia dalla consumatrice emancipata, che lavora per hobby e per passione alla ricerca di qualcosa particolare, alla consumatrice con meno possibilità economiche che segue la tradizione ma non disdegna il risparmio nel realizzare un capo con le proprie mani.

La fascia d'età parte dai 45 anni, ma con un numero crescente di giovani che si avvicinano al mondo del tricot". Naturalmente si parla per il 99% dei clienti di questi prodotti di un pubblico femminile: nonostante i cambiamenti sociali in atto, questo settore rimane off limits per i maschietti.

No alla Gdo. O forse sì?

Unanime il giudizio sull'incompatibilità tra la vendita di questo tipo di prodotti e l'avvento della distribuzione moderna nel nostro paese. Secondo tutti gli operatori del mercato, la particolarità di lane e filati, che per essere venduti hanno bisogno di un servizio al cliente molto accurato, non si addice a ipermercati e supermercati e alla vendita self service impersonale. "La Gdo - spiega Dario Deponti, responsabile vendite Italia di Cucirini Tre Stelle - ha il grande difetto di non parlare ai suoi clienti, di proporre un assortimento, ma di non riuscire a spiegare le caratteristiche dei singoli prodotti. Per questo motivo il dettaglio specializzato avrà sempre le sue armi contro i colossi della distribuzione: dialogo col cliente, corsi per insegnare l'abo, oppure un assortimento molto più vasto, in cui chiunque può trovare articoli più particolari, che le insegne non possono tenere per problemi di rotazione".

"In gdo - prosegue Barbavara - questo tipo di prodotto non va moltissimo, la sua vendita ha bisogno di assistenza, di consigli ed è questo che si aspetta il cliente finale: ricerca un atteggiamento collaborativo da chi vende. Un esempio può chiarire meglio questo fenomeno: un nostro storico distributore in Giappone, con il quale collaboriamo da 35 anni, ha una catena di grandi magazzini, le cui vendite non decollano. Il cliente finale si trova il prodotto così com'è sullo scaffale e deve sceglierlo senza assistenza. Noi gli abbiamo suggerito di assumere del personale e metterlo vicino allo scaffale per consigliare i clienti. Con questa semplice operazione, abbiamo triplicato, da un anno all'altro, le nostre vendite in quella catena giapponese, con semplici consigli sul colore o sullo stile". Certo è che il rapido sviluppo della Gdo nel nostro Paese e il successo che questo canale commerciale sta avendo presso i nostri connazionali deve poter interessare anche chi opera su questo mercato, che deve intuire tutte le potenzialità offerte da questa "piazza di vendita". "La gdo non tratta i filati - dichiara Maurizio Ornaghi (nella foto qui sotto), titolare di Ornaghi Filati - questi prodotti sono stati tolti dall'assortimento nel 1985 e non sono più entrati, nonostante qualche esperimento, in particolare nelle grandi superfici food. Per questo motivo la grande distribuzione non ha rubato niente a questo mercato. Per il momento crediamo che l'ingresso sulle grandi superfici possa rappresentare un fattore di sviluppo, ci stiamo provando, ma notiamo che i buyer sono poco disponibili nei confronti di questo tipo di prodotti. Abbiamo fatto un test con Ipercoop, ma occorre riuscire a ricreare una cultura del prodotto e di questo tipo di lavoro. Per questo occorrono tempi lunghi". In tempi difficili, quindi, è neoessario perseguire tutte le strade per risollevare le sorti del mercato.

Il rebus dei giovani

Quello dell'aguglieria è un problema generazionale. Divisi tra tecnologia, sport e divertimento il tempo libero degli under 30 sembra essere d'appannaggio d'attività più moderne. Ma è proprio sui giovani e sui giovanissimi under 20, che si gioca il futuro dell'aguglieria in Italia. Un futuro che si preannuncia incerto, così come sembrano incerte le strategie che i produttori stanno mettendo in campo per riawicinare una platea più fresca a questo mondo. Certo, è sempre un problema di budget, ma sta proprio nella fantasia dei responsabili delle varie aziende, la possibilità di cogliere questa difficile sfida. "Siamo editori - dichiara Sapellani - facciamo una rivista, cerchiamo di dare un taglio più giovane alle nostre proposte, anche se sappiamo bene che i giovani non sono buoni lettori, alla fine. Abbiamo cercato di proporre lavori facilitati,

sono tornati di moda i filati grossi che sono più facili da lavorare, seguiamo le tendenze, i colori presentati dai vari stilisti, ma è certo un po' difficile catturare l'attenzione dei giovani". Molto concreta l'idea proposta da Deponti: "I giovani sono difficili da seguire - spiega - spesso seguono idee semplici, ma che diventano in breve tempo un cult. Per questo motivo dobbiamo essere in grado di avvicinarli cercando proposte in grado di superare i vari generi. Penso a un porta cellulare o I-Pod fatto a maglia, semplice da fare, comodo e trendy da usare tutti i giorni. Magari, un prodotto di questo tipo può diventare un successo in tutt'Italia, tanto più che alcuni segnali danno una sorta di risveglio dei più giovani a questo mondo, nell'ultimo periodo". "Sicuramente - dichiarano da Coats Cucirini - l'inserimento nelle scuole, non come attività tecnica bensì ludica, in modo da attirare la curiosità del bambino che si avvicina per la prima volta al mondo dei filati, facendolo divertire.

Inoltre, il segmento fashion permette di sviluppare i trend moda con filati di struttura complessa con torsioni particolari, arricciamenti che possono interessare anche le giovani attente allo stile".

"Abbiamo fatto parecchie iniziative con le scuole - fa eco Barbavara - per avvicinare i giovani. Invitiamo le classi nel nostro stabilimento di produzione, uno dei pochi rimasti funzionanti in Italia, e tutti rimangono sorpresi da tutto quello che ci sta dietro.

Si tratta di scuole un po' particolari, come istituti artistici o dedicati alla moda, oppure di organizzazioni hobbistiche".

Una lobby sfumata

L'occasione era stata suggerita dagli Stati Uniti. To knit, sferruzzare in inglese, sembrava essere diventata una moda oltreoceano. Tanto da coinvolgere personaggi famosi e persone comuni, tutti uniti da gomitoli e ferri. Julia Roberts si è presentata negli studi televisivi di uno dei network a stelle e strisce più importanti, esibendo con nonchalance i ferri, guarda caso per pubblicizzare un suo film in uscita «The Friday Night Knitting Club», ambientato in un club tutto al femminile dedicato ai lavori a maglia. Lo stesso dicasi per Uma Thurman e Sarah Jessica Parker. Addirittura il virilissimo Russel Crowe, star de II Gladiatore, pare abbia confessato di sferruzzare tra le quattro mura di casa, per rilassarsi un po'. Tra leggenda e realtà (le cronache parlano di un locale aperto a Los Angeles da una dirigente della Cbs, la famosa rete televisiva che ha abbandonato il suo posto da donna in carriera per mettersi a disposizione di ferri e filati), non tutti sanno che l'adesione di tanti personaggi famosi ai lavori a maglia era, in realtà, una ben coordinata (e remunerata) operazione di marketing, ordita dalle associazioni di produttori lanieri statunitensi per rinvigorire le vendite. Missione compiuta, visto che l'impatto sulla società statunitense è stato molto forte e non era difficile vedere frotte di pendolari recarsi al lavoro in treno o metropolitana, lavorando ai ferri oppure scambiandosi idee o consigli. Un fuoco di paglia, sostengono alcuni produttori nostrani, incapace di durare nel tempo, visto che poco dopo la moda dei ferri è stata soppiantata da qualche altra invenzione. "Negli Stati Uniti - spiega Sapellani - è stata una fiammata costruita da zero, con grandi lavori di pubbliche relazioni e investimenti in marketing. È stata costruita una moda a tavolino, così come accade in altri settori. Negli Usa sono abituati a spettacolarizzare e ad accrescere l'entusiasmo nei confronti delle cose. Sono stati bravi, ma hanno speso molto. Qui in Italia è stato fatto un tentativo qualche anno fa, i vari operatori si sono incontrati per cercare una strada per lo sviluppo comune creando un'associazione, ma l'esperimento è abortito ancor prima di venire alla luce. Per la solita mentalità italiana e la rivalità tra le varie aziende".

Più caustico il commento di Maurizio Ornaghi, che in questo progetto di fare lobby aveva creduto molto. "Avevamo messo in piedi un bel progetto - aggiunge - per fare attività di pubbliche relazioni e un'attività coordinata di marketing. Avevamo fatto i primi passi per avviare una partnership con Diesel, uno dei brand più amati dai giovani di tutto il mondo, che ci avrebbe reso visibilità e interesse. Purtroppo al momento dell'accordo, i costi hanno spaventato molti che si sono ritirati e hanno preferito coltivare il proprio orticello, invece che portare avanti un discorso di vedute più larghe. Purtroppo questi sono i problemi che affliggono la nostra classe imprenditoriale".

Prospettive e trend: voglia di passione

Se le aziende continueranno a procedere in ordine sparso, sarà più difficile risalire la china. Di certo, tra gli operatori sembra serpeggiare un po' di rassegnazione sull'impossibilità di cambiare questo clima "Per il futuro - conclude Barbavara - cerchiamo di essere realisti e forniamo materiale per questo hobby: pensate, ci sono persone che spendono 2.000 euro per una canna da pesca per poi pescare una trota da pochi spiccioli. È una questione di passione, anche il nostro settore si regge su questo concetto. Bisognerà costruire minuziosamente un interesse in persone ohe non ce l'hanno, creare passione, e questo è un lavoro inevitabilmente lungo. Spesso si parla della necessità di fare uno spot televisivo, ma basta guardare il panorama per capire che oggi vanno in tv quelle aziende i cui prodotti costano 1 alla produzione e sono venduti a 100: finanziarie, compagnie telefoniche, costruttori di automobili. Consideriamo che i nostri prodotti ci costano 30 e spesso li vendiamo a 31...".

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